venerdì 21 maggio 2010

Can you hear me, Major Tom?

La mia connessione alla rete deve essere finita in un buco nero della galassia: risucchiata, polverizzata, azzerata. E io sto vorticando da giorni, ormai, in un incubo kafkiano di schede di lavorazione e appuntamenti telefonici con tecnici fantasma. Le mie domande rimbalzano contro il muro di gomma dei risponditori automatici che modulano assurde frasi fatte attraverso le loro odiose trachee metalliche.
Sono riuscita a connettermi - abusivamente - con mezzi di fortuna solo per dire che un giorno o l'altro mi rifarò viva, credo. Comunque sappiate che vi ho amati.
Can you hear me, Major Tom? Can you hear me, Major Tom?

martedì 18 maggio 2010

Koopman e Monteverdi a Varese

Basilica affollata ma stranamente non gremita per la celebrazione del quattrocentesimo anniversario del Vespro mariano di Monteverdi.
A 66 anni, Ton Koopman è il folletto geniale di sempre. La sua lettura del Vespro – di cui per ora non esiste documentazione discografica – è essenziale e rigorosa, più in linea con la versione di Alessandrini che con quella, ormai troppo sontuosa, di Gardiner.
Koopman, che accompagna i solisti al cembalo, dirige con l’entusiasmo e la vitalità che gli conosciamo, adottando tempi agili ma senza eccessi.
Il coro dell’Amsterdam Baroque rende con assoluta plasticità le dinamiche della geniale commistione di canto fermo gregoriano e seconda prattica.
Un’esecuzione splendida. Un’ora e mezza di totale incanto sonoro. Tutto di una bellezza commovente e inesprimibile.

domenica 16 maggio 2010

Rufus al Conservatorio

Del Conservatorio di Milano coltivavo ricordi giallastri e incartapecoriti ed ora posso ben dire che, dopo più di vent'anni, sembra che neanche il bar si sia evoluto più di tanto. In compenso ho notato che Fazioli, all'angolo di Corso Monforte, esibisce ormai solo pianoforti, alcuni dei quali credo concepiti da ingegneri aerospaziali.
Tutto questo per dire che mi ci voleva nientemeno che Rufus Wainwright per convincermi a infrangere una barriera di ricordi infausti.
Come un parassita mi limiterò a segnalare, riguardo allo spettacolo, quello che
lui, essendo molto più preparato e diligente di me, ha già detto benissimo. Ci tengo a ribadire che la prima parte dello spettacolo mi ha veramente rapita, anche per la qualità dell'interpretazione di Rufus, tecnicamente ineccepibile, nonostante la complessità dei pezzi, ed emotivamente intensissima.
Durante il secondo tempo mi è sembrato a tratti che Rufus volesse semplicemente rilassarsi, scuotersi di dosso il carico emotivo della prima performance e giocare a fare il pianista di pianobar con gli amici. Se la prima parte della serata si è svolta all'insegna della perfezione, la seconda è suonata a volte volutamente un po' sbracata. È pur vero che Rufus si muove sempre su un tessuto armonico così impervio che qualche slittamento è da considerarsi fisiologico (soprattutto quando vien meno la concentrazione e l'urgenza espressiva si allenta).
Per il resto avrei fatto volentieri a meno di certe osservazioni di dubbio gusto e di certo umorismo troppo ostentato e forse anche un po' troppo british per la mia sensibilità: ma sono considerazioni del tutto personali, che nulla tolgono alla performance di un grande artista che mi sembra si trovi in una delicata fase evolutiva ostinatamente orientata verso la musica colta
.

venerdì 14 maggio 2010

Simone e Diamanda: le gatte del settimo cielo

Sempre per la serie beato chi ci può andare, ricordo che avrà inizio domani la seconda serie di concerti organizzati dalla raffinatissima etichetta francese Les disques du 7ème ciel.

La singolare iniziativa - promossa dalle due gatte della foto che per l'occasione mettono a disposizione la terrazza del loro appartamento parigino - prevede concerti acustici del tutto gratuiti.
Qui ulteriori dettagli (soprattutto su Simone e Diamanda).

giovedì 13 maggio 2010

Martedì di luce


Il solito ben informato amico River mi segnala questa curiosa performance che avrà luogo a Trezzo sull'Adda martedì prossimo. E io che mi chiedevo che fine avesse fatto Robin Guthrie.

martedì 11 maggio 2010

I benefici della grammatica

Non sto scrivendo perché ho perso qualsiasi fiducia nelle mie parole. Ma credo di aver perso ogni fiducia un po’ in generale.
Non sono in vena di scrivere frivolezze e, se magari provo a mettere insieme due parole su un libro che ho letto, la noia mi assale alla prima riga.
Ultimamente mi sembra che sforzarsi a comunicare non abbia proprio senso.

Perciò mi rifugio nei miei libri di tedesco. Lì, almeno, tutto sembra avere una logica: si acquistano auto per illustrare i comparativi, ci si lamenta del lavoro a turni ma solo allo scopo di costruire gustosi periodi ipotetici, e se si finisce all’ospedale è esclusivamente per la buona causa delle locuzioni passive. Insomma, nei miei libri di tedesco la realtà intera è contenuta e ingentilita dalla grammatica, è sorretta da una logica ferrea. Dite niente?
Comunque, questa assidua frequentazione delle mie grammatiche tedesche, oltre a precludermi il baratro della follia, ha prodotto l’unico significativo risultato messo a segno in questo orribile mese di maggio: sembra infatti che, dopo sei mesi di lotte vane, io stia finalmente cominciando ad acquisire una certa dimestichezza con la declinazione degli aggettivi.

domenica 9 maggio 2010

I fiori di Mapplethorpe

"Rimasto solo, guardò la marea di vegetali che dilagava nel suo vestibolo. Si mescolavano gli uni agli altri, incrociando le spade, i kris, le punte di lancia, disegnando un fascio di armi verdi sul quale fluttuavano, come barbarici stendardi, fiori dalle tonalità accecanti e decise.

L'aria della stanza si rarefaceva. Presto, nell'oscurità di un angolo, vicino al pavimento, strisciò una luce bianca e dolce.
Vi si accostò e si accorse che erano delle Rizomorfe a emanare con il loro respiro quei chiarori da lume notturno.
«Queste piante sono proprio stupefacenti!» pensò. Poi si fece indietro per abbracciarle tutte con un'occhiata: il suo scopo era raggiunto. Nessuna pareva reale. Sembrava che la stoffa, la carta, la porcellana, il metallo, fossero stati prestati dall'uomo alla natura per consentirle di creare i suoi mostri."

(J.K.Huysmans, Controcorrente)
foto di Robert Mapplethorpe

martedì 4 maggio 2010

"Cosa voglio di più" di Silvio Soldini

Ha ragione Silvano Agosti a dire che fabbriche e uffici non sono altro che carceri: l'ultimo, bel film di Silvio Soldini, presentato lo scorso febbraio a Berlino, è la dimostrazione esemplare della teoria. Fatto con gli ingredienti poveri del quotidiano, Cosa voglio di più registra la parabola discendente della relazione – per entrambi extraconiugale – tra Anna e Mimmo, lei impiegata, lui operaio; due vite assolutamente ordinarie, incastrate nel vortice senza scampo di una quotidianità fatta di pendolarismo, lavoro, famiglia.

Anna e Mimmo si muovono in un microuniverso di individui che hanno fatto della mediocrità e della sopravvivenza l’unico orizzonte possibile; individui incatenati al mutuo per l’acquisto di un modesto appartamento con vista sulla periferia, remissivi ingranaggi di un meccanismo che li sfrutta fino al midollo (gli extra in nero, le ferie non pagate). Si fa un gran parlare di soldi, in questo film: i dieci euro risparmiati dal calzolaio, i novanta euro che si sarebbero presi quelli dell’Ikea se Alessio, il compagno di Anna, non si fosse ingegnato a far tutto da sé, la banconota da cinquanta allungata dalla zia ad un’Anna un po’ pensierosa. Più che di soldi, sarebbe meglio dire che si parla di spiccioli. Ed è su questo terreno di miseria in senso lato – intesa non solo come ristrettezze economiche, ma soprattutto come assenza di prospettive, orizzonti limitati, insomma, infelicità – che attecchisce la storia fra Anna e Mimmo, storia nata essenzialmente da uno scatto della fantasia di lei. L’evasione, del resto, è l’altro argomento cardine nelle conversazioni fra i personaggi: la gita in montagna, la vacanza low cost, il viaggio regalato alla collega che va in pensione. Anche il corso di acquerello che Anna frequenta ogni martedì sera è uno spiraglio in uno scenario senza speranza (“non vedo l’ora che arrivi il martedì” confessa Anna ad un’amica). L’appuntamento del mercoledì, invece, quello al motel con Mimmo, è molto più che uno spiraglio per Anna, che ci si aggrappa come ad una ragione di vita: tutto è vissuto in funzione di quell’incontro settimanale, al punto che tutto sembra crollare se l’appuntamento salta. È chiaro da subito che anche per lui il rendez-vous al motel è la boccata d’ossigeno che permette di attraversare in apnea la settimana (non a caso Mimmo pratica nuoto subacqueo) ma è altrettanto evidente che Mimmo è il classico uomo che non può vivere senza l’amante – che però non deve dare fastidio, deve essere disponibile al momento giusto, nei tempi dovuti – così come non può fare a meno di moglie, figli e suoceri. “Oggi il mio capo si sposa per la terza volta” dice Anna, con la sua tenera ostinazione da sognatrice, cercando di trasmettere all’amante il messaggio che, se si vuole, cambiare vita è possibile. “Per forza” taglia corto invece Mimmo “lui ha i soldi…”

L’ostinazione coraggiosa, la disponibilità a rifondare la propria vita da zero, la voglia di rimettersi in gioco a qualunque costo, sono di solito caratteristiche abbastanza tipiche delle donne che si ritrovano nella situazione di Anna: uno slancio che implica anche l’incapacità di giudicare obiettivamente l’oggetto di tanta passione. Anna è disposta a scambiare per amore un rapporto che è di fatto privo di qualsiasi intimità. Dopo una lunga frequentazione Mimmo non sa ancora che genere di cibo piaccia alla donna che dice di amare e, in effetti non li si vede mai condividere un pasto, il gesto che forse più d’ogni altro rappresenta l’intimità del vivere insieme.
Quale sarà il destino dei due amanti la storia non dice, ma è lecito supporre che l’ennesima separazione sarà seguita dall’ennesimo ricongiungimento e così via fino all’estenuazione, in un’altalena di emozioni forti che, nel bene e nel male, offre ai protagonisti l’illusione di essere vivi, l’ora d’aria nel carcere quotidiano.

sabato 1 maggio 2010

Maggio

Primo maggio o no, il sabato mattina la Varese bene scende in centro ad esibire cani, bambini viziati, passeggini spaziali ed il look giusto che prevede almeno un brandello del classico check caffelatte Burberry. Orgogliosamente arroccata alla periferia dell’Impero, la Varese bene ignora che la nuova direzione creativa del brand londinese gestisce il vecchio pattern cammello come un’eredità imbarazzante, di cui si disferebbe volentieri. Forse i nuovi macrocheck virati al nero antracite raggiungeranno questa roccaforte del conservatorismo a 360° solo quando si saranno trasformati in cascami da outlet. Le signore che amano sfoggiare il check beige con accessori rossi – in assoluto l’abbinamento più pacchiano – potrebbero avere una crisi d’identità se solo sospettassero che da Londra si spinge affinché questo diventi il pattern vincente; ma tant’è e, saltando di rosso in rosso, a un tratto mi meraviglio di scorgere a metà del Corso uno sventolio scarlatto. Non c’ero più abituata alle bandiere rosse, non sapevo nemmeno esistessero ancora. Addirittura, quando raggiungo il modesto assembramento in Piazza del Podestà (Piazza del Garibaldino, nell’accezione popolare) realizzo che qualcuno sbandiera anche falce e martello. C’è una sorta di comizio, sembra, ma l’audio non è molto buono e i partecipanti sono pateticamente pochi. Trecento? Quattrocento? Ci sono i palloncini gialli – ma perché gialli, poi? – con scritto lavoro, legalità, integrazione; ci sono bimbi che scorrazzano, persone di una certa età che ascoltano con attenzione. Ma dove sono tutti quelli che hanno perso il lavoro, che tirano avanti con la cassa e la mobilità?
Affranta mi rifugio in libreria ma l’atmosfera non è buona neanche lì; il personale – oggi sono di turno i più antipatici – dispensa libri con fastidio e alterigia.
Guardati dal mese vicino all’aprile, recita il titolo di un brano degli Area; e così chiosava – più di trent’anni fa - Demetrio Stratos nelle note di copertina: “Guardati dal mese vicino all'aprile, dicono i contadini del meridione d'Italia che hanno imparato a temere i rovesci improvvisi di marzo. Guardati, compagno, dal mese di maggio, noi non siamo più gli eredi di nessuno, bisogna ricominciare tutto da capo!”.

Su Repubblica c’è
un bell'articolo di Ilvo Diamanti.